Racconti

di Paolo Cortesi

  • Un Racconto di Paolo Cortesi

    Malato

    Mario non scorderà mai per tutta la vita la faccia che aveva il medico quando gli disse che suo figlio aveva la tubercolosi.
    Il medico aveva la finestra alla spalle; il sole era basso sull’orizzonte; i rami di un grande albero erano neri contro la luminosità larga e forte della palla di fuoco fermo. La luce attraversava le orecchie del medico, che apparivano perciò rosse, traslucide, come spellate e venate di lampi di sangue.
    Tutta la testa del medico era scura, come i rami dell’albero là fuori.
    C’era quella testa nera, con un ciuffo di capelli storti; le orecchie rosse e opalescenti: il malato sembrava il medico, non Attilio.
    E invece il ragazzino era a letto, sotto le coperte che la madre gli tirava fin sopra il mento. Coprirlo bene, e tenerlo ben coperto, era la sola cosa che lei poteva fare per credere di essere utile al figlio; così gli stava seduta accanto al letto; teneva le mani posate sul grembo e le muoveva – subito – appena Attilio scostava un po’ il lembo della stoffa che lo avvolgeva.
    Il medico scrisse la ricetta, che posò sul tavolo. Disse che ci voleva aria sana e tanto sole, aria asciutta. La montagna, ci voleva. Montagne alte e al sole.
    Attilio (che fissava medico e genitori come figure sconosciute che non avrebbe mai più incontrato) Attilio pensò che sarebbe andato in montagna e fu contento, ma segretamente.
    Mario accompagnò il medico alla porta. Tornò indietro presto, perché la stanza era una sola e la porta era quasi davanti al letto.
    Mario guardò la moglie Elvira, non era nemmeno triste perché le notizie brutte, anche le più brutte, non ti schiantano quando le aspetti da tanto, ma ti seppelliscono vivo solo un po’ di più, e che differenza fa stare sotto tre metri di terra invece che due?
    Che differenza fa?
    Mario guardava la moglie: lui e lei apparivano stanchissimi. Attilio temeva che si arrabbiassero con lui, perché era malato e sapeva – lo sapeva da anni – che le medicine costano, e se il medico Frisoli era buono e non si faceva pagare, invece la cura in montagna sarebbe stata troppo costosa.
    Restarono tutti e tre zitti per diversi minuti, finché Attilio non decise di dare un colpo di tosse.
    Allora il padre si alzò dalla sedia; sembrò scavarsi una nicchia nell’aria diventata all’improvviso, misteriosamente, grossa e pesante. Disse alla moglie:
    -Allora io vado.-
    Era come un segnale, come l’inizio di una cosa preparata da tempo. Attilio ebbe un po’ paura; temeva che andasse a prendere dalla zia la siringa, per fargli fare le iniezioni.
    Ma il tempo passava e il padre non tornò. Attilio si addormentò, perché nel letto faceva caldo; stava disteso e immobile.
    Quando si svegliò, vide il babbo seduto dove stava prima di uscire; ora leggeva a sua moglie un pezzo di carta; era una lettera, su un foglio bianchissimo, con le pieghe ben dritte. Mario lo teneva in mano con delicatezza e quasi con timore, come si fa con oggetti fragilissimi.
    Leggeva a voce bassa, per non svegliarlo, ma ora Attilio ascoltava:
    …che come un buon padre tanto ha a cuore la salute della fresca giovinezza d’Italia. Duce, a voi ricorrono con illimitata speranza due poveri ma onesti genitori, che non possono permettersi le costose cure per ridare la salute al loro amato figlioletto. Un vostro cenno, Duce, e la benefica volontà vostra dispiegherà gli effetti della…
    Attilio ascoltava con attenzione perché era un po’ preoccupato. Non aveva mai sentito suo babbo parlare così, né lo aveva nemmeno sentito leggere, e non capiva il significato di quelle parole, che erano belle, suonavano bene, molto diverse e importanti; erano parole – si sentiva – scelte bene e messe assieme molto bene. Sembrava di sentire il prete quando faceva la predica, ma erano parole più strane, anche un po’ più importanti, almeno così pareva.
    Mario vide che il figlio si era svegliato. Lo guardò un istante e lesse a voce appena un poco più alta:
    …i sottoscritti genitori osano sperare che la bontà vostra…
    La mamma volse la testa verso Attilio; gli sorrise. Sembrava sempre sfinita, come immobilizzata da un peso troppo grande.
    Mario concluse la lettura. Posò la lettera sul tavolo con ogni riguardo; la moglie prima si sfregò le mani sul grembiule, controllò che fossero pulite poi prese il foglio con una delicatezza di cui Attilio fu quasi geloso.
    Stava leggendo; lo si vedeva dal movimento delle pupille che andavano e venivano.
    Poi disse:
    -Scrive bene. Scrive proprio bene il figlio della Velia.-
    Mario annuì.
    -Mi voleva dare anche la busta e il francobollo, ma io ho detto di no. Sembrava che ci approfittassimo.-
    -Hai fatto bene.-
    -Adesso vado a prendere la busta col francobollo.-
    Si alzò e mise la mano in tasca. Contò il denaro. Erano monete nere, consunte, lustre.
    Mario guardò il figlio e gli fece un gesto con la mano, lo salutava.
    Attilio tirò fuori la mano dalle coperte e salutò il padre.